Dove: Area verde via Raffaele Persichetti (Porta San Paolo, lato ingresso museo)
Sito web: www.sovraintendenzaroma.it
Info e prenotazioni: 060608 tutti i giorni dalle 9.00 alle 19.00
Descrizione e svolgimento del percorso
Il piazzale Ostiense è oggi luogo simbolo della memoria dei combattimenti per la liberazione di Roma dall’occupazione nazi-fascista, e ad essa sono dedicati molteplici monumenti e lapidi sul piazzale stesso e nel vicino parco della Resistenza tra viale Aventino, via Marmorata e via Gelsomini. Gli eventi drammatici immediatamente seguiti alla proclamazione dell’armistizio dell’8 settembre 1943, che hanno visto protagonisti partigiani, gente del popolo
e militari, si sono svolti in questo caso in un’area carica di storia e segnata da importanti emergenze monumentali ad iniziare dalle mura Aureliane – edificate a difesa della città nel III sec. d.C. – , sulle cui strutture hanno trovato collocazione, in momenti diversi, le numerose lapidi che commemorano la Resistenza sottolineando la partecipazione anche delle donne e degli alleati. Le stesse mura portano anche il segno vistoso lasciato dalla guerra a seguito di un bombardamento del 1944 che ha procurato il crollo della porzione lungo l’attuale via Raffaele Persichetti (uno dei caduti del 10 settembre del 1943), che congiungeva la Piramide – voluta come sepolcro da Caio Cestio, morto nel 20 d.C. – con una delle porte più importanti della città, la Porta Ostiense, attraverso la quale si raggiungeva, tramite la via omonima, l’antico porto di
Ostia. Due monumenti, costituiti da una colonna spezzata e da una stele presso la porta lungo via Persichetti si elevano sul piazzale, mentre una installazione più recente realizzata nel 1995 ricorda le vittime oggetto di persecuzione nei campi di concentramento nazisti. All’epoca degli eventi il piazzale presentava già gli edifici abitativi lungo la via Ostiense, che nei primi decenni del secolo XX, secondo il PRG del 1909, costituiva l’asse stradale principale della espansione industriale della città in quest’area esterna alle mura, prossima al Tevere (allora navigabile) e servita dalla linea ferroviaria. Su di esso si affacciava la stazione della linea ferroviaria Roma-Ostia, entrata in servizio nel 1924: l’edificio, realizzato con progetto di Marcello Piacentini in uno stile di aspetto “rurale”, è sopravvissuto ai bombardamenti tedeschi del 1944 che misero
fuori uso la linea e distrussero la stazione di Ostia Lido. Accanto la stazione della metropolitana, all’epoca in allestimento, la cui linea sarebbe andata in funzione nel 1955.. Oltre le mura, a sinistra di Porta Ostiense è il Cimitero acattolico, che dal XVIII secolo accoglie le spoglie di persone non cattoliche tra le quali importanti poeti inglesi e le ceneri di Antonio Gramsci. La Porta Ostiense conserva al suo interno ancora il vecchio edificio del dazio, e sul lato in direzione
di viale Aventino un’interessante edicola sacra del XVI secolo con la figura di S. Pietro. In questa parte, interna all’antico circuito murario, il viale Aventino, risistemato nei primi decenni del ‘900, congiungeva la porta con la zona del Circo Massimo, mentre all’inizio di via Marmorata già tra il 1933 ed il 1935 era stato edificato il palazzo delle Poste, interessantissimo esempio di architettura razionalista progettato da Adalberto Libera e Mario De Renzi a seguito di un Concorso nazionale bandito dal Ministero delle Poste e Telecomunicazioni nel 1933. Sul suo retro viene sistemata l’area a verde che prenderà poi la denominazione di “Parco della Resistenza dell’8 settembre”, all’interno della quale si trovano il monumento ai Militari caduti nella guerra di liberazione e l’insieme delle piante di rose in memoria delle donne cadute nel
corso della Resistenza.
Poco distante, sul lato opposto di via Marmorata, su progetto di Vincenzo Fasolo negli anni 1928-1930 fu edificata la caserma dei vigili del fuoco, in stile eclettico, testimonianza insieme all’edificio delle Poste della varietà di forme architettoniche realizzate in quegli anni. lungo tutta via Marmorata, in direzione del Tevere, si costeggia il quartiere Testaccio, racchiuso tra il colle Aventino (sulla destra della via), il Tevere, e le Mura, in un’area pianeggiante destinata dal Piano regolatore del 1873 ad edifici industriali (il Mattatoio) e abitazioni per operai. Percorrendo il Lungotevere Aventino realizzato negli anni ’20 del Novecento, si raggiunge piazza Bocca della Verità, risultato di un esteso sventramento di epoca fascista per isolare i templi antichi di Portuno e di Ercole Vincitore. Lungo l’attuale via Luigi Petroselli si evidenziano invece i grandi edifici per uffici del governatorato e per l’anagrafe, realizzati negli anni ’30 in sostituzione di un tessuto urbano dalla cui completa distruzione si è salvata quasi unicamente la casa dei crescenzi, importante ed eccezionale testimonianza di residenza abitativa medioevale (XII – XIII sec.). Segue l’area archeologica del teatro di Marcello e del Portico d’Ottavia, risultato anch’essa dello sventramento realizzato a partire dal 1926. Il propileo monumentale del Portico d’Ottavia (edificato da augusto nel 27 -23 a.c. e ricostruito nel 203 d.c.) riutilizzato come atrio della chiesa di S. Angelo (nota dall’ vIII secolo), dal XII secolo fino al XIX ha ospitato il mercato del pesce cittadino, e la via creatasi sin dall’alto medioevo lungo il colonnato dello stesso Portico (attuale via del Portico d’Ottavia), ha costituito per secoli il limite esterno dall’antico ghetto ebraico di roma. Quest’ultimo fu istituito da Papa Paolo IV nel 1555, in questa area della città in cui già a partire dal XII secolo si era concentrata gran parte della comunità ebraica; delimitato da mura e porte, divenne residenza obbligata per gli ebrei romani. Il consistente addensamento edilizio protrattosi nei secoli con gravi conseguenze di sovraffollamento e degrado – nonostante il ghetto fosse stato definitivamente aperto da Pio IX nel 1848 – determinarono con l’avvento di Roma Capitale la decisione della sua completa demolizione, avvenuta nel 1888. Sulla sua area sono sorti quattro grandi isolati, uno dei quali occupato dalla Sinagoga Maggiore edificata su progetto di O. Armanni e V. Costa negli anni 1899-1904. Successivamente, la promulgazione delle leggi razziali e, quindi, gli eventi bellici e l’occupazione tedesca hanno reso l’area del ghetto testimone dei più tragici atti di violenza e deportazione nei confronti degli ebrei romani; ne restano testimonianze in alcune lapidi che ricordano in particolare il rastrellamento del 16 ottobre del 1943, poste sulla Casina dei Vallati (edificio del XIII-XIV secolo con aggiunte cinquecentesche, recuperato nel corso delle demolizioni di epoca fascista), l’intitolazione della piazza di fronte ai propilei del Portico d’Ottavia, la lapide a memoria dello sterminio nei campi di concentramento della famiglia di Settimio calò e in via del Tempio, il ricordo degli allievi delle scuole ebraiche che subirono il medesimo destino. La memoria del rastrellamento e della deportazione degli ebrei romani si concretizza soprattutto grazie alla collocazione, nei luoghi ove questi hanno vissuto, delle pietre d’inciampo, progetto nato a colonia nel 1995, voluto dall’artista tedesco Gunter Demnig. Grazie a questo progetto a Roma, a partire dal 2010, sono state posizionate in tutta la città, ma soprattutto nelle strade del ghetto, 206 pietre d’inciampo (Stolpersteine) in memoria di deportati razziali e politici. L’itinerario quindi proseguirà lungo le strade del ghetto soffermandosi davanti ad alcune di queste pietre e narrando le storie delle persone cui sono dedicate.
Durata: 180 minuti
Finalità didattiche
Il percorso si svolge attraverso luoghi e spazi della città rimasti sostanzialmente immutati rispetto al periodo storico preso in esame. L’obiettivo è quello di raccontare, servendosi di testimonianze epigrafiche, elementi monumentali, osservazioni del paesaggio urbano e interventi artistici contemporanei, in un momento cruciale della storia della città e della storia del XX secolo. Partendo dall’analisi dei segni della memoria presenti nel percorso si potrà approfondire la conoscenza e stimolare la riflessione sul particolare momento storico. La trattazione dei singoli avvenimenti accaduti tra l’8 settembre ’43 e i primi mesi del ‘44 sarà basata sulla restituzione di un palinsesto di testimonianze storiche, memorie, testimonianze orali e permetterà di comprendere articolazioni diverse del ricordo e del suo manifestarsi come “segno” nella città: dalla celebrazione di eventi e persone attraverso le memorie di Porta San Paolo, in cui il ricordo è affidato alla consolidata tradizione epigrafica, ai segni “minimi” dei “monumenti per difetto”- così come sono state definite le pietre di inciampo – che metaforicamente intralciano il cammino di chi è distratto, obbligandolo a osservare un “ricordo” non retorico né celebrativo, che ribalta il senso della tradizione monumentale.